Sembrerebbe una sorta di sorpresa il vestiario “sa cappitta” ricamato in ciniglia esposto nella teca familiare del Palazzotto; così non è, non potrebbe essere.Abbiamo già parlato di “essenzialità” che caratterizza sia i comportamenti osilesi come anche tutte le tradizioni e le consuetudini, compreso il Vestiario.
Il cosiddetto “costume”, che la nostra generazione conosce, per intenderci quello che sul gallone porta ricamate le famose rose del Bresciani (gesuita Antonio Bresciani, autore del testo “Costumi dell’isola di Sardegna, comparati agli antichissimi popoli orientali”, edito a Napoli nel 1850), oltre ad essere di effetto e molto prezioso è anche appesantito proprio per quelle rose così grandi e appariscenti. Nessun addebito al Bresciani, che fra l’altro ha pensato su gallone in una prospettiva di futuro, pur tuttavia la perdita della compostezza e dell’essenzialità tipiche, secondo il mio modesto parere, rappresentano la cartina di tornasole attraverso la quale è possibile misurare alcuni canoni della condizione sociale osilese. Esattamente come sa cappitta in velluto.
Il velluto, tessuto pregiatissimo di origine orientale -forse persiana, introdotto dagli Arabi in Europa- arrivò in Italia nel secolo XIII, cominciò a diffondersi nel secolo XIV; tuttavia poi furono gli spagnoli a praticare il “terciopelo” ossia la terza pettinatura -alleggerendo il tessuto fino ad ottenere due orditi ed una sola trama.Tipo di velluto usato per sa cappitta in “Tultziopela”. Per quanto riguarda il raso usato per la bordura della gonna “su Gallone”, ha origini in Cina -Dinastia Song- importato in Italia tra il X e il XIII secolo, verrà usato principalmente nella Chiesa; il raso non è un tessuto ma una struttura tessile ottenuta con l’intreccio di fili di lana e seta, oggi con l’aggiunta di tessuti sintetici.Allo stesso modo, anche il raso dapprima usato nelle classi dominanti e/o abbienti, col tempo -grazie all’introduzione dei telai meccanici- si ottenne una produzione più consistente con l’abbassamento dei costi e quindi la capacità di acquisto anche da parte di fasce popolari.
L’abbigliamento tipico osilese è sicuramente quello che si può ammirare nel Museo Antropologico di Nuoro (foto n.1 Museo): gonna e cappa in panno rosso (in altri casi tendente al granato), gallone di lino puro alto mediamente non più di cm15, ricami prevalentemente in rosso, fiori di piccole dimensioni. Dopo l’Unità d’Italia, e principalmente a cavallo del ‘900, è comparso il gallone in raso con numerose infiorescenze e ricami tendenti al granato scuro. Di quest’ultimo tipo di vestiario esiste ancora in paese (foto n.2) qualche raro esemplare.
Quest’anno al Palazzotto è comparso in mostra un vestiario tradizionale -sa cappitta- in panno rosso con applicazioni e ricami in ciniglia (sempre di colore granato scuro, fig.3). Questo tipo di Vestiario potrebbe rappresentare una sorpresa, nella realtà reale così non è: non si tratta di una cappetta solitaria, bensì di diversi esemplari che fuoriescono dalla tradizione e ne rappresentano una sorta di variante. Per quanto esista anche una cappetta in velluto (tultziopela) che reca ugualmente i ricami in ciniglia. Qualche osilese già in età, recita un famoso andante molto comune: “chie no podet messare, ispigat” (ossia “chi non ha campi di grano da mietere, si accontenta di raccogliere le spighe rimaste per terra”). Potrebbe anche essere vero, ma solo in un senso, vale a dire: chi non ha abilità necessarie per ricamare il punto raso, evidentemente si accontenta di ricami e/o applicazioni con filo di ciniglia piuttosto che con fili di seta. (il filato definito “ciniglia” dal francese “chenille”; la sua origine è recente -1830-, spesso si tratta di un filato in velluto, per questo non meno prezioso della seta o del raso).Ritenere che questo tipo di “cappette” realizzate in ciniglia, appartengano a famiglie poco abbienti, non è esatto, al contrario, ne sono state trovate proprio in case di grandi proprietari terrieri. Recentemente io stessa ho fotografato un gallone (fig.4), ormai incorniciato ed esposto, in una casa dove le proprietà non mancano; non si tratta, dunque, di possibilità finanziarie, piuttosto di scarsa manualità nell’eseguire i ricami classici oppure l’estro (tipico osilese) di seguire qualche moda arrivata come d’uso con i carghi approdati a Cagliari.
Infatti dal 1700 in poi le “nuove mode” arrivavano nel nostro capoluogo e da qui spesso risalivano direttamente ad Osilo. Ne abbiamo la certezza andando a rivedere le modalità di mascheramento del carnevale; la maschera “dòmino” è unica in Sardegna, usata solo ad Osilo eppure proveniente addirittura dalla Francia, dopo un obbligato passaggio a Venezia.Torniamo al Vestiario in ciniglia, per rendere più armonioso e apprezzabile il tutto, si impreziosiva con “sa buttonera a buccia” (fig. n.5), pendenti sferici in argento. I venivano bottoni inseriti nelle asole (traùcas) nelle maniche del corpetto “su groppittu”. Corpetto che nella parte superiore del petto mostrava i seguenti ricami: “aylcu, càlighe, coro” (arco, calice, cuore).“Sa buttonera a buccia” venne usata fino a quando –secolo XVIII- non è comparsa la lavorazione a filigrana. Da allora anche i bottoni del Vestiario sono stati eseguiti con la nuova tecnica, ossia un intreccio di fili d’argento o d’oro lavorati a mano (fig. n.6). Certo che, a voler disquisire con serietà del nostro vestiario, sembra perdersi quell’alone di fascino che lo stesso emana. Vestiario ammirato da tutti: osilesi, non osilesi, forestieri visitatori rinomati ed eccellenti, pur con qualche voce discordante.
A suo tempo Paola Lombroso (figlia di tanto padre che già ci aveva etichettato negativamente), in un reportage giornalistico pubblicato su “La Gazzetta del popolo” di Torino nel 1899, oltre a criticare acerbamente la Deledda e la Sardegna tutta, scrisse che le donne sarde abitavano in catapecchie ma possedevano un vestiario ricco a dismisura con ornamenti in argento e oro. Una visione certamente impopolare, non troppo distorta, in quanto le condizioni di vita erano veramente arretrate, poco dignitose e ancora feudali, pur tuttavia avrebbe dovuto avere il coraggio di inoltrare il suo reportage a chi allora governava la Sardegna, seguendo l’esempio del Canonico Manunta Crispo. Il quale si adoperò -presso i Savoia- per ridurre quanto più possibile l’analfabetismo femminile che in Sardegna superava il 95%. Il passaggio della Lombroso in Sardegna fu talmente a volo d’angelo da non rendersi conto che non in tutti i paesi le famiglie vivevano in catapecchie e che, proprio dal Piemonte, molti maestri, imprenditori, commercianti e maestranze furono invogliati a trapiantarsi in Sardegna per accelerare i tempi dell’istruzione e del commercio. A conferma di questa tesi, in quel periodo, mia nonna Giuseppina della Rovere (come tante altre insegnanti), era già qui a Santa Vittoria e San Lorenzo e poi ad Osilo in qualità di maestra. Sono in molti ancora a ricordarla con affetto e con l’appellativo di “sa mastra” (foto n.7); così come lo stesso canonico Liperi-Tolu cita a pag 54 del testo “Osilo” che nel 1875 il Pubblico Mercato di Sassari fu risanato da un tale “mastro Pecorini” proveniente da Biella.
Tutto ciò sta a significare che alcuni tentativi di risanamento vennero attuati, ma evidentemente troppo pochi per cancellare secoli di isolamento e sopraffazioni. Tutte varianti che Paola Lombroso non seppe cogliere. Riprendendo il discorso originario, è bene ricordare che il Vestiario osilese, di qualunque foggia, è un inno alla Tradizione, a tutto ciò che ci ha preceduto, a tutto ciò che il paese racconta tra sogno e realtà. Una Storia importante, capace di competere a testa alta con altre storie e tradizioni. Wiliam Semprini ebbe a scrivere: “Perché incuria non disperda”, appunto! E’ auspicabile che la mano e le intuizioni dell’uomo volgano lo sguardo al Futuro ma con grano salis e senza dimenticare, e tanto meno interpretare in modo troppo individuale e a volte distorto, il Passato. Abbiamo assistito con l’esposizione nel Palazzotto ad un amarcord che sarebbe piaciuto ai nostri padri; continuare così, con la stessa eleganza ed essenzialità sarebbe auspicabile.
Elies Giovanna