L’UTIMO APPUNTAMENTO
Alghero al tramonto si tingeva di rosso. Spettacolo, fiato sospeso, noi due mano nella mano. Il cielo si convertiva in un attimo dal giallo al rosso, rosso scuro, poi rosso violetto, e restava lì. Quel violetto riempiva le nuvole leggere con venature sfumate. Sapeva già di nostalgia. Capivo che l’avrei rimpianto, e cercavo di fissarmelo nella memoria. Ci sedevamo in qualche brandello di muretto che tracciava un confine netto tra la grande spiaggia del lido e la strada litoranea. Ci riempivamo gli occhi di quel viola che colonizzava lo specchio di mare placido del golfo. Viola su viola, per ubriacare di tramonto e farti sentire perso nell’immenso. La prima volta ci eravamo trovati per caso. Era nel grembo degli ultimi decenni del secolo scorso. Io cercavo una catena di pensieri che portasse dai miei tormenti a quel viola. E non mi ero neppure accorto che lei si fosse seduta vicino. Non gliel’ho mai chiesto, e dopo tanti anni, ancora, non l’ho capito. Guardavo il profilo di Capo Caccia, che sembra una enorme mummia addormentata sul mare, col sole che scendeva rosseggiando all’altezza della sua pancia. Quando dura un tramonto? Anzi quanto durava un tramonto? Ché adesso non ci faccio più caso. «Il sole, alla fine, scompare in sette secondi!», lei era apparsa all’improvviso subito dietro la sua voce, e rispondeva a una domanda che non poteva sapere. «L’ultimo spicchio di sole…», era rimasta sospesa un attimo mentre io precipitavo sul pianeta terra ai bordi di una immensa spiaggia vuota, «ci mette esattamente sette secondi a scomparire per aprire le porte al buio». «Aprire le porte al buio? Ma come parli?». Avevo quasi bisbigliato girandomi piano e trovandola lì. Capelli neri che il vento sollevava sulle spalle e uno sguardo lontano, ma non perso, piuttosto, concentrato. Come se avesse potuto capire e abbracciare tutto quel lontano che sfumava di viola. «Sette secondi, dalla luce al tramonto. Sette nella numerologia è un numero magico: sette sono le note musicali, sette i giorni della settimana, i cieli creati da Dio secondo il Corano, e i vizi capitali. E sette secondi ogni sera, il passaggio…», lasciando cadere la frase così, tra cielo viola e spiaggia a perdita d’occhio, nel silenzio disabitato di una marina da incantare un pittore. Ero rimasto incantato anch’io, ma con l’inquadratura su di lei. Primo piano: il suo viso aveva fatto schizzare in alto tutte le mie sensazioni. Dettaglio: quella guancia candida con una leggerissima spruzzata di lentiggini, aveva mandano il cuore a cannoneggiare verso le tempie. Fermo così, miraggio negli occhi, tamburo nel petto. Fermo sette secondi: li avevo contati. Ero rimasto sette secondi ad accarezzare con lo sguardo le sue efelidi. Cuore in subbuglio, attrazione irresistibile, come un’urgenza avevo deciso che prima o avrei fatto naufragio con un bacio su quella guancia, o la mia vita non avrebbe più avuto senso. E infatti il senso l’ho perso; da quella sera in poi. Ecco, ho nostalgia di quel giorno che poi ho deragliato, eppure lo rivorrei cento e cento volte. Si era girata e mi aveva sorriso, mentre il mare placido aveva lanciato un’onda lunga fragorosamente nel bagnasciuga. Incredibile un’ondata così nel fondo di una sera di mare piatto. Non ho nostalgia, sono contento di quel giorno, ma come sono arrivato ad oggi? La nostalgia è il desiderio di rivivere un ricordo, ma io il ricordo di quella sera l’ho tenuto con me. L’ho coltivato, coccolato, cresciuto e seccato per poi rianimarlo e amarlo ancora. «Piacere, io sono Cosimo», le avevo detto con folle desiderio di abbracciarla. Lei era scoppiata a ridere, e facendomi verso: «Piacere io sono Cosima…». E dai a ridere. Avevo pensato che avrei dovuto alzarmi e andarmene, ma quella risata, cristallina, con le lentiggini, mi aveva incagliato su quel muretto diroccato. Altri sette secondi da contare alla rovescia. Sette: ride troppo. Sei: questa la odio, oppure la amo. Cinque, non importa nient’altro che lei. Quattro: non conto più, la attiro verso di me e faccio scoppiare l’abbraccio più emozionante della mia vita. Abbraccio, forte, i suoi capelli volavano sul mio viso, il suo profumo in un turbine sensoriale. Nostalgia adesso, viola, come il tramonto di quella sera. Anzi no, niente nostalgia, perché se tutto va come spero tra poco la riabbraccerò come allora. Rideva ancora quando abbiamo lasciato il tramonto con le fiamme viola alle nostre spalle, e ci siamo incamminati verso Alghero. Era destino incontrarsi per caso, con nomi così poco casuali. Però non mi piaceva che ridesse. Ma poi mi aveva preso per mano e in attimo tutto era diventato fantastico. La strada che dal lido portava al centro città era sconnessa, e camminare sul bordo non era agevole, ma noi volavamo. La spiaggia diventava una lingua bianca sempre più sottile, divorata da un immenso manto di alghe scure. Ammonticchiate morbidamente dal mare, restavano lì a diffondere un odore acre intenso. Poi anche le alghe si ritiravano accostandosi all’asfalto che proprio lì incrociava la ferrovia. E ancora strada sopra il mare, denso, ora scuro, che non minacciava, ma respingeva col suo cattivo odore. Dall’altra parte vecchie case a un piano soltanto e un antico stabilimento vinicolo che tutti i ragazzi dicevano che fosse abitato dai fantasmi. Di questa leggenda ho nostalgia ancora, perché era bello credere nelle cose impossibili. Come credere nei sogni, si poteva. Ma forse stasera posso vedere un sogno che si realizza. Quando eravamo arrivati al porto, allora era la minima parte di quello che si è sviluppato poi, ci eravamo seduti sul bordo di un molo semideserto, con le gambe ciondoloni, che sembravano guardare il mare, quasi melmoso, sotto di noi. Eccolo lì il primo bacio. Umorale, necessario, irrimandabile. Cuore, labbra, occhi chiusi, stelle che si aprivano. Come un improvviso collegamento di tutti i sensi, ma con un cortocircuito che stordiva. Non è nostalgia, era un passaggio fondamentale per quello che siamo diventati ora. Mentre la nostalgia è attratta da qualcosa che si è perso. E noi abbiamo deragliato, caspita se abbiamo deragliato, ma non abbiamo perso niente, neppure un millimetro di nostalgia. Infatti la nostalgia è legata ai visi, ai luoghi, che si sono perduti, quindi è dentro di noi. Conserviamoli i ricordi, scevri di nostalgia, assettati di altri momenti che saranno ancora ricordi. Così questa sera: ultimo appuntamento. Sarà una una giornata da ricordare, e se andrà male sarà nostalgia. Sarà nostalgia sotto formalina, per far male ogni volta che si sfiorerà il ricordo. Con Cosima è stato un amore folle! Era follia pensarlo, è stato follia viverlo. Stare insieme mediamente una volta a stagione: che follia! Incontrasi per un giorno e una notte, tre o quattro volte all’anno. Un incontro da bruciare e poi nulla, fino alla volta dopo. Non una lettera, neppure una cartolina; e quando sono arrivati i cellulari mai una telefonata e neppure un messaggino. Zero. Vuoto, silenzio, spazio bianco da riempire, da riempire di niente. Non conosciamo neppure i nostri numeri, né i nostri indirizzi. Appuntamento da una volta all’altra, e se se ne perde uno finisce il gioco. Finisce il gioco senza diventare ricordo, per diventare nostalgia. Un appuntamento precario, una fuga di un giorno e una notte quasi a sorpresa, regalata, strappata con le unghie alla normalità. Un giorno di vacanza dalla normalità. Un giorno, ogni tanti mesi, a galleggiare dentro una bolla di felicità. Un giorno di respiro libero ogni tanti mesi. Tutto poteva passare, tutto si poteva sopportare perché alla fine c’era lei; lei per un giorno, come dire più preziosa ancora. Ci trovavamo, scoppiava la passione e parlavamo e parlavamo… Ci raccontavamo tutta la nostra vita, le cose importanti: la nostra vita a puntate. Non capisco come ci sia venuto in mente, e come siamo andati avanti fin ora; ma adesso basta, con oggi si finisce. Sono qui, su una panchina con vista sul porto. Che adesso ci sono anche le panchine, e le barche ormeggiate sono a perdita d’occhio. Ma ora non le vedo neppure. Aspetto soltanto, nessun altro pensiero può arrivare. Deve arrivare Cosima, non pensieri. Se arriva sarà viva la mia vita, se non arriva sarà solo nostalgia. Forse gli errori si pagano con la nostalgia. Dopo tantissimi anni, oggi è la serata del tutto o niente. Rinascita, oppure… oppure ne sarà comunque valsa la pena. Arriverà? Una volta era arrivata anche con la febbre alta. «Non dovevi venire!», le avevo detto preoccupato accarezzandole il viso. «Se non fossi venuta… finiva tutto, ci saremo persi». «Lo vedi, dovremmo scambiarci i contatti, o almeno darci un appuntamento di riserva così…». «No! La regola è questa: se saltiamo un appuntamento è finita, senza nessuna spiegazione!». «Ma perché, io vorrei… non capisco». «Non mi meraviglia: gli uomini certe cose non le capiscono. È meglio così, fidati di me». Ricordo quel dialogo come se fosse ora, ma ancora non capisco. Forse, però, in questo modo ogni volta è stato un regalo inaspettato della vita. Finché la scorsa volta abbiamo detto basta. I nostri rispettivi matrimoni stavano naufragando, forse anche per colpa di questi incontri. Eravamo fidanzati, e vicini a sposarci, la prima volta che ci siamo incontrati, e avevamo deciso di continuare le nostre vite normali regalandoci un giorno speciale ogni tanto. Ma alla fine abbiamo detto basta: non si può vivere di nostalgia. Lei non ha avuto figli, e il mio ormai è grande, così possiamo permetterci il lusso dire basta. L’ultima volta era un pomeriggio soleggiato di gennaio scorso, e stavamo passeggiando sui bastioni sopra il porto. Il sole iniziava a calare, ma senza il solito spettacolo di colori: «Al prossimo incontro dovremo essere già separati ufficialmente, oppure non ci vediamo più». Improvviso e definitivo, forse l’avevamo sempre pensato e temuto. E ora quel tempo è arrivato. Adesso sono qui, con la vita sospesa, dove ci siamo dati quel primo incredibile bacio, e ci siamo dati appuntamento per tanti anni, ma questa volta è l’ultimo appuntamento, l’ultima possibilità. Non verrà, e non ci saranno spiegazioni. Tremo, ho proprio desiderio di abbracciarla, di stringerla, come una necessità. Adesso chiudo gli occhi, e quando li riapro lei sarà lì. Chiudo, li riapro: non c’è. Sento il cuore come se mi cadesse dentro un pozzo. Vuoto, solitudine. Poi alle spalle sgorga improvvisamente una voce che sospende tutto il mondo: «Sono già sette secondi imbalsamata qui che aspetto che ti giri!».
Pier Bruno Cosso