La collana “Nostalgia” ha trovato il suo approdo. Raccontare le propie emozioni non è facile e non è da tutti. “Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è una parte del tutto” scrive John Donne nel lontano ‘500. Tante “isole” si sono date appuntamento nel Salotto Letterario di Osilo, riuscendo in quella sorta di magia che dà origine ad un atollo. Gianni Avorio ci condurrà lungo i perimetri di questo atollo, ideato per caso e così ben riuscito. Giovanna Elies
Quando si parla di “nostalgia”, fare dei bilanci è forse riduttivo, perché ci troviamo di fronte a un fiume senza dighe, che non accetta argini o barriere, che va a valle attraverso i mille rivoli della nostra memoria, con la consapevolezza che nessuno può pensare di fermare quell’attimo, quei volti, quei sorrisi che compongono il nostro passato.
E, neppure, si può chiudere la riflessione con la banale considerazione che “tutto ha un fine”, perché la nostalgia è impastata di storie, di persone, di parole, di speranze, alle quali abbiamo attinto noi e alle quali attingeranno le nuove generazioni per costruire il loro futuro. Non sono solo fatto intimo e personale quei ricordi, perché socializzandoli diventano patrimonio collettivo, e leggendoli diventano mille vite, che sono nostre per quella connivenza e complicità che i ricordi riescono a creare.
Sono stati giorni fantastici, che hanno permesso a molti di aprire il loro forziere e consegnare alla memoria collettiva un passato ricco di tenerezze e di vita autentica.
Nessuno, ci sembra di poter affermare, è caduto nel rimpianto di un periodo aureo fine a sé stesso, disconoscendone la capacità di incidere sul “tempo che verrà”.
Due sono le possibili letture del concetto apparentemente lineare del termine “nostalgia”: l’una guarda il passato, rimpiangendolo e ipotizzando un suo ritorno come la soluzione di ogni problema, l’altra, sicuramente più praticata, ha lo sguardo rivolto al futuro e consente di vivere serenamente il presente, utilizzando il passato e la memoria per costruire un più saldo domani. Di questa seconda lettura abbiamo avuto testimonianze in questa sede, e il seme germoglierà e darà frutti meravigliosi. Questa visione porta con sé una carica vitale che permette di guardare avanti con la certezza che il futuro avrà le sue fondamenta nel passato, senza mai perdere la tenerezza dei ricordi.
Troviamo questi due aspetti ben rappresentati dalla poesia: in Antioco Casula (Montanaru) con “Comare, a bos’amentades” (Sos cantos de sa solitudine) e in “Radici” di Francesco Guccini. Pur avendo scopi e matrici diverse, entrambe scavano in un tempo che non c’è più e che mai più ritornerà.
Montanaru parla della nostalgia come della mancanza di qualcosa, di un passato che, se rivisitato, può solo dare qualche conforto allo spirito.
Comare, a bos’ amentades
de sa nostra pizzinnia
A su fistis e fia
nessunu bi det torrare;
eppuru de l’amentare
paret chi nd’apa cunfortu,
e in cussu tempus mortu
si firmat sa fantasia.
Diversamente lo sguardo di Guccini verso il passato diventa la ricerca per costruire un presente e un dopo migliori sulla scorta delle esperienze del passato.
La casa sul confine dei ricordi,
la stessa sempre, come tu la sai
e tu ricerchi là le tue radici
se vuoi capire l’anima che hai.
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E te li senti dentro quei legami,
i riti antichi e i miti del passato
e te li senti dentro come mani.
ma non comprendi più il significato.
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La casa è come un punto di memoria,
le tue radici danno la saggezza
e proprio questa è forse la risposta
e provi un grande senso di dolcezza.
Leggendo le straordinarie storie pubblicate durante l’isolamento, quando l’animo di tutti era portato alla riflessione, si ha l’impressione palese che nessuno abbia vissuto il passato con lo spirito del “si stava meglio, quando si stava peggio”. Nessuna retrotopia, come avrebbe detto Zygmunt Bauman, ma una gran voglia di acciuffare ciò che abbiamo vissuto e che ci ha formato per utilizzarne la carica positiva espressa, che ci consenta, come singoli e come società, di edificare una storia migliore e che, in questo tragico momento storico, dobbiamo considerare solo in stand-by.
Quanto è stato scritto, insomma, non è una scelta con il “torcicollo”, proiettata indietro per rimpiangerne i fasti, ma di più, molto di più, perché verso il passato c’è stato uno sguardo da innamorati, senza rimpianti particolari e senza usare lenti deformanti.
È stato un corroborante tuffo nel mare dei ricordi, sempre positivi, come sanno esserlo solo quelli senza amarezza per il presente. Potremmo citarli tutti, ma faremmo un torto scegliendo noi che cosa è importante, o più importante. Sono escursioni in punta di piedi nei ricordi strettamente personali, che hanno valore in quanto vissuti da chi li racconta. La cosa straordinaria sta nella bellezza di quanto ciascuno porta, come un prezioso gioiello, nel profondo del proprio cuore. Possiamo affermare che nessuno ha “cercato il tempo perduto” per dare un senso alle cose, per individuare un rifugio alla propria anima timorosa e tormentata in questo lungo periodo di isolamento. Ogni parola ha volto lo sguardo al passato, cercando orme del futuro; e seguendo quei passi, che vengono da lontano, saremo capaci di vivere bene oggi e avere più certezze per il domani.
Credo che nessuno degli intervenuti, che mai ringrazieremo abbastanza per quanto sono stati capaci di donarci, abbia pensato di inviare dentro una bottiglia messaggi a un io lontano, per poi correre sulla riva del mare ad aspettare una impossibile risposta.
Abbiamo letto con passione e partecipazione emotiva brani di vite d’altri, che sono diventate nostre, e abbiamo maturato la convinzione che tutti hanno navigato senza mai l’impulso di voltare la prua e ritornare dove avevano origine i loro ricordi.
Molti, troppi, forse, pensano che siano sufficienti alcuni saggi dei minatori dell’inconscio e della memoria per sbarazzarci per sempre di queste mollezze che ci distolgono dall’efficienza produttiva.
Parafrasando il grande matematico Otto Neugebauer, possiamo affermare che non esiste alcun testo noto capace di rovinare, con vivisezioni a freddo dell’animo umano, gli “spiriti vitali” della nostalgia.
Forse
Ricordare
è forse
il modo più tormentoso
di dimenticare
e forse
il modo più gradevole
di lenire
questo tormento.
Erich Fried (poeta tedesco, 1921-1988)
Gianni Avorio